Cinema

Il Mercante di Pietre: il cinema, la critica, l'Islam

Il Mercante di Pietre: il cinema, la critica, l'Islam

Il Mercante di pietre di Renzo Martinelli non è piaciuto alla critica. È più che naturale.

La tesi del regista: l'Islam travolgerà l'Occidente, perché ha più odio, più passione, più religione ed è molto organizzato. E dominano gli integralisti e i violenti, i moderati ci sarebbero, ma non contano. Il processo storico è irreversibile. Fra pochi anni, anche numericamente, saremo in balia dell'Islam.

Significativa è la frase di lancio del film: "vive come noi, parla come noi, ma ci odia". Il tutto tradotto dalle vicende di un professore italiano che ha perso le gambe in un attentato, di sua moglie che si innamora di un mercante di pietre preziose italiano convertito all'Islam, che userà la donna per far esplodere una nave.

Come è facoltà di chi racconta e rappresenta, in letteratura, cinema e arte, Martinelli estremizza per essere più efficace. Così può succedere che la tesi diventi pregiudizio. Ma anche questo è un diritto di chi racconta. Sta poi a chi "consuma", trarre le conclusioni. Martinelli conosce molto bene l'argomento, da anni lo studia e non solo nella chiave di questo film attuale. Il regista sta preparando un altro film su Marco da Aviano. Un nome al quale è bene essere introdotti.

Marco era un cappuccino, una delle massime personalità religiose del 17° secolo. Come legato pontificio fu distaccato alla corte di Leopoldo I, imperatore del sacro romano impero, del quale divenne amico e consigliere. Marco fu decisivo nella battaglia di Vienna del 1683. La città era assediata dei Musulmani, l'11 settembre la vittoria era ormai loro. Ma all'alba del 12 il frate celebrò la messa sulla collina del Kahlenberg, sopra la città. Aveva dei "chierichetti" d'eccezione, i re e i principi cristiani. Tenne un discorso, fra latino italiano e tedesco, pieno di passione e di fede, brandendo la croce. Poche ore dopo i cristiani, che erano la metà dei musulmani e non possedevano artiglieria, travolsero i soldati di Allah. La fede cristiana aveva superato quella islamica. 323 anni fa "funzionava" così. Se i Turchi si fossero impadroniti di Vienna, cuore d'Europa, la storia sarebbe stata riscritta, e lo sarebbe anche adesso. L'Islam, mortalmente ferito nell'orgoglio, non dimenticò quell'undici settembre quando ormai era sul punto di vincere, e pianificò la "vittoria riparatrice" di New York del 2001.
L'Islam aveva interpretato quel periodo come momento di debolezza dei cristiani, di cui approfittare. Poco più di un secolo prima, nel 1571 ecco un altro errore di calcolo nella battaglia di Lepanto, dove i musulmani furono sconfitti dalla Lega cristiana. E verso la fine del secolo precedente, nel 1492 a Granada, Ferdinando il cattolico aveva cancellato dalla Spagna l'ultimo regno musulmano. In quei momenti storici i Cristiani avevano prevalso sull'aggressività dei musulmani, ma -è la teoria di Martinelli- non è detto che ci vada bene anche in questa fase storica, interpretata dall'Islam come momento di grande debolezza dell'occidente.

Filoislamica
Questa posizione così radicale di Martinelli, in netto contrasto con la corrente del cinema, che è antiamericana e dunque filoislamica, e dunque in contrasto con la corrente critica che alimenta, sostiene ed enfatizza quel cinema e quel progetto, naturalmente, come detto sopra, non è piaciuta... alla corrente critica. In questa chiave voglio ricordare l' ormai storicizzato manifesto antiamericano, Fahrenheit 9/11, di Michael Moore, santificato dalla critica, vincitore di Palma d'oro eccetera. Soprattutto voglio ricordare l'ultima Venezia, i film Lettere dal Sahara di De Seta, e Quei loro incontri di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Il primo è la storia di un clandestino nordafricano che arriva in Italia e viene respinto. Il ragazzo è intelligente, bello, tollerante, lavoratore, colto, generoso e solidale. È un modello ideale migliore di tutti i modelli. È inesistente. È una carta truccata dal cinema che certamente non serve alla causa legittima della tolleranza e della solidarietà, e alle difficoltà degli immigrati.
Il film di Straub-Huillet, peraltro ritenuto imbarazzante persino dalla "corrente", riprende inopinatamente un testo di Cesare Pavese. Il "messaggio" lo ha dichiarato lo stesso Straub: " finché ci sarà l'America non ci saranno mai abbastanza terroristi." Per Quei loro incontri la commissione veneziana, con impegno particolare del giurato francese Catherine Déneuve, ha eseguito il suo diligente compitino "pol-corr.", inventando lì per lì un premio da attribuire.

In una battuta de Il mercante di pietre si dice che in Europa non si trova neppure un cristiano disposto a immolarsi per la propria fede, mentre tutti i musulmani sono disposti a farlo per la propria. È uno dei nodi di Martinelli. L'italiano disposto a immolarsi c'è: questo Vicedomini interpretato da Keitel, solo che si immola per l'Islam, al quale, come detto sopra, si è convertito (un po' "banalmente" in Afghanistan, dove c'era Bin Laden). La fede cristiana, bandita e dimenticata, schiacciata dalla civiltà del consumo, certo non è più quella di Marco da Aviano. Il regista ha dichiarato "la colpa è anche nostra, che abbiamo dimenticato e abiurato, persino redigendo la costituzione d'Europa non si è voluta riconoscere la radice cristiana."

E qui non si tratta di un film, Martinelli ha ragione. Non si tratta neppure di mistica. Il "sentimento umano" del cristianesimo è quello che ha portato progresso e incanto. Qualche esempio: niente Divina commedia e Amleto, niente Rinascimento senza cristianesimo. Poi c'è il rispetto per la vita, l'uomo e la donna con uguali diritti, la società solidale, e molto moltissimo altro, e senza parlare di scienza.

Poi c'è la tesi che i musulmani moderati, pacifici, ci sono ma non contano. Qui mi si perdoni la citazione. Quando ero a Damasco per gli esterni del film 7 km da Gerusalemme tratto dal mio romanzo omonimo, durante la conferenza stampa mi si è avvicinata una donna, Jouzy Bachour, del ministero del turismo. Mi ha raccontato di aver fatto parte della commissione che ha esaminato la sceneggiatura, insieme a componenti di altri ministeri.

Mi ha detto "la commissione ha gradito la sceneggiatura all'unanimità. Ma l'ultima parola spettava a Ahamed al Din Hassun, il gran Muftì, che mi ha affidato un messaggio per lei: il Muftì riconosce e onora Gesù, uomo e profeta, che assunse in quel tempo, e spera assuma in questa rappresentazione, la funzione di unire i nostri popoli". Il giorno dopo i tre maggiori quotidiani della regione, compreso il "panarabico" Al Baath, riportavano in prima pagina la conferenza stampa e tutte le dichiarazioni. E così anche le televisioni. Girando il film nelle varie zone della Siria, con Alessandro Etrusco nei panni di Gesù (ed è il Gesù più Gesù del cinema, davvero impressionante) la gente gli si avvicinava, qualcuno lo toccava, un po' sconcertato magari, ma sempre sorridendo. Non so se a Mogadiscio il "Gesù" sarebbe stato accolto allo stesso modo. Parlo di gente in strada. Erano una ventina i mezzi del service locale con la scritta "7 km da Gerusalemme" riportata nei due caratteri, nostri e arabi. E sappiamo che "Gerusalemme" laggiù dovrebbe essere una sorta di bestemmia. E c'erano le comparse musulmane nei panni magari di un rabbino: una sola si rifiutò. Conosciamo bene tutti i sospetti che la Siria si porta dietro, tuttavia non c'era sensazione di integralismo o di violenza, c'era curiosità e simpatia per gli occidentali. Ribadisco: parlo di gente "in strada".

Una volta sono stato invitato a conoscere un ministro. Un quarto d'ora prima mi è stato detto "si trovi nella hall". In macchina con me, oltre all'interprete, c'erano due persone, immense, guardinghe, armate. Mi era stato detto che in Siria ci sono una ventina di servizi segreti. Passando fra la gente "normale e tranquilla" (Damasco ti dà un po' la sensazione di Napoli) ho chiesto all'interprete "ma c'è proprio bisogno di guardie del corpo, guardi la gente, l'ho conosciuta, è gentile, pacifica". Mi ha risposto, col sorriso, "quelli non contano". I "moderati" non contano, ed erano la maggioranza. Era un avallo autentico, in loco, concreto. Ne ero testimone.

Frustrato
Ma c'è qualcos'altro che i critici non hanno gradito nel "Mercante". Qualcosa di "frivolo" diciamo così. Il protagonista, il professore, quando si tratta di scegliere un film e dopo che la moglie ha detto "questo la critica lo ha stroncato", risponde che "i critici sono persone frustrate." Alla conferenza stampa di Milano, chiaramente dopo un passaparola, quasi tutti i critici di testate importanti hanno disertato. E nelle recensioni del giorno dopo qualcuno si è mostrato offeso, con ironia e superiorità naturalmente. Martinelli poteva evitarselo, non cedere alla tentazione ma, senza parlare in assoluto naturalmente, ha ragione, ha toccato un nervo scoperto.
Quando da 40, 50, e anche 60 anni racconti le opere degli altri (e non parlo solo di cinema) non puoi passarne indenne. E non c'è critico, lo giuro, che non abbia aspirato ad essere romanziere, o sceneggiatore, o regista, preferibilmente di successo. Vedere la propria opera recensita dagli altri, è meglio. La "frustrazione del critico" è un sintomo vero, fisiologico e automatico. La diagnosi è persino semplice.

I film di Martinelli sono sempre perentori, spesso buoni, ma mai perfetti. Il regista non è ancora riuscito a mediare completamente il linguaggio della pubblicità (dalla quale proviene) con quello del cinema: la storia secca con la storia dilatata. Inoltre, spesso, emerge una mancanza di qualità di scrittura che non è solo sua ma di quasi tutti registi italiani. Ed emerge qualche imbarazzo nelle indicazioni agli attori. Anche nel "Mercante" qualcosa non funziona. Qualche esempio: rallenty e fermo-immagine a volte superflui, soluzioni drammaturgiche non corrette: la protagonista rischia di morire in un attentato a Roma e subito dopo, col marito, se ne va in vacanza in Cappadocia dove, puntualmente, cade nella rete dei terroristi. Il professore senza gambe volteggia di pure braccia per sfuggire ai terroristi, attaccato a una sbarra sul soffitto, che... nemmeno Yuri Chechi. Il mercante Keitel, che ha organizzato l'attentato, all'ultimo si pente e piangendo come un bambino "voglio morire con lei...".
Tuttavia questo è il film migliore del regista. I difetti rilevati vengono dimenticati per l'intensità e il ritmo del racconto. E poi non sembra un film italiano dunque è esportabile, e credo che Martinelli possa intendere questa didascalia come un franco complimento che va a compensare i rilievi fatti sopra.

Martinelli, già coinvolto nella polemica, ha detto: "alla fine si tratta solo di un film, cioè di una provocazione. L'unica cosa che il cinema può fare. Poi spetta ad altri riprendere il filo." Ho scritto più volte che il cinema non ha lo stomaco per i grandi pronunciamenti, meglio, per le grandi soluzioni. Certo, puoi uscire dalla sala con un sentimento irresistibile. Quanto può durare? Un'ora, un giorno, una settimana? Per la soluzione, per l'assunzione nella coscienza profonda, poi si deve attivare l'intelligenza diversa, quella che approfondisce: i libri e i giornali, i seminari e i convegni, e un po' di tempo. In questo senso si è attivato qualcosa di subitaneo, e molto intenso, persino misterioso.

15 settembre
Il Mercante di pietre è uscito nelle sale il 15 settembre. E val la pena di rilevare altre vicende di quel giorno, segnali singolari e forti. È il giorno del risentimento islamico per le parole di Ratzinger a Ratisbona. Quello stesso giorno il Cesis (Comitato Esecutivo per Servizi di Informazione e Sicurezza) in una relazione ribadiva il pericolo molto grave, il più grave, del terrorismo islamico, di radice soprattutto magrebina.

Quello stesso venerdì il Corriere della sera ospitava in prima pagina il fondo di Magdi Allam, di cui riporto la prima parte: "È desolante e preoccupante l'immagine dei musulmani che hanno dato vita a un fronte nazionale unitario per attaccare il papa e esigere delle scuse pubbliche. Da Bin Laden ai Fratelli Musulmani, dal Pakistan alla Turchia, da Al Jazeera a Al Arabiya, si è riesumata quell'alleanza trasversale e universale già emersa in occasione della vicenda sulle vignette di Maometto.

E che attesta, in modo inequivoco, che la radice del male è una cieca ideologia dell'odio imperante fra i musulmani, che violenta la fede e ottenebra la mente. Perché mai i musulmani, soprattutto i cosiddetti moderati, non si sollevano con tale e tanta foga contro i veri ed eterni profanatori dell'Islam, i terroristi islamici che massacrano gli stessi musulmani nel nome del medesimo Dio, gli estremisti islamici che legittimano la distruzione di Israele e inculcano la fede nel cosiddetto "martirio" islamico?" E Allam è uno che conosce bene l'argomento. Forse lo conosce meglio di tutti. Si direbbe che Martinelli e Allam, quel giorno, si siano telefonati. Ma, oltre questa battuta, è indubbio che la tesi del "Mercante" trova qui un testimone di enorme autorevolezza. E non si tratta di un film. Martinelli regista, dunque, pare proprio sia andato oltre la provocazione.

C'è dell'altro: quel giorno è morta Oriana Fallaci, un'altra che conosceva bene l'argomento. Non avremo più la sua voce, violenta, e discussa. Ma insostituibile e garante. Magari eroica.

Di Pino Farinotti